Sentiero Italia: da San Marco La Catola (gps 41.524229, 15.007536) a Tufara (gps 41.481770, 14.946972)
Lunghezza del percorso km 14,1; guadagno/perdita in elevazione 864 / – 1.078 metri; quota massima: 698 metri, quota minima 227 metri.
Centri attraversati: San Marco La Catola, Tufara.
Pernotto: da Italo (327 875 6250).
9 settembre. Si riparte per un nuovo cammino. Questa volta ho scelto di camminare nella fascia molisana che confina con la Campania, utilizzando in parte il tracciato del Sentiero Italia. Per la prima volta, dopo tanti cammini fatti da solo, ho un compagno, Michele, un caro amico e valente fotografo.
Da San Marco La Catola, dopo una discesa seguendo la rotabile, giungiamo al torrente La Catola, asciutto, che attraversiamo per immetterci sul tracciato dell’antico tratturo che da Castel Di Sangro portava a Lucera.
L’inizio di un cammino si presenta sempre come un faticoso passaggio: sebbene animati dall’entusiasmo e dall’attesa per la novità dell’esperienza, le condizioni ambientali – sole che picchia, esposizione, fatica – influiscono su quelle interiori: il mondo accelerato stenta a dare il passo a quello della lentezza; la mente piena a quella svuotata; il tempo del divenire a quello sospeso.
Raggiungiamo il punto panoramico di Cruciata da cui si domina il versante sud-occidentale: la nostra meta, Tufara, è già chiaramente visibile. Ci attende ancora l’oltrepassamento della valle del Fortore prima di salire verso il paese.
A Tufara alloggiamo in una piccola casa del centro storico. La casa è incastonata alla possente fortezza longobarda che domina il paese. La costante predominante è il silenzio. Il silenzio delle donne sedute davanti le loro case in una immobilità contemplativa; il silenzio di questi muri che da secoli sono testimoni della vita del borgo; il silenzio dell’aria che ti accarezza discretamente. Il silenzio sembra rallentare quel divenire rappresentato dal tempo che scorre e che ci mette in angoscia. Il silenzio come porta d’ingresso dell’eternità.
Mi colpiscono due scene. Un vecchio, acciaccato, che con piccole pacche sulla faccia di un cane cieco lo guidava per i saliscendi dei vicoli. Una giovane donna, marocchina senza hijab, che, uscendo dal piccolo portoncino della sua abitazione, si intrattiene amichevolmente con alcune anziane che stazionavano davanti le loro case promettendo che avrebbero trascorso una serata insieme. Quando la vita non è dominata dai ritmi frenetici, dalla logica del profitto, dalle insidie del potere, la nostra natura esprime il meglio di sé.
Il cammino attraverso questi luoghi insoliti – nel senso di non omologati agli standard che normalmente conosciamo – diventa anche un viaggio antropologico verso l’origine o l’essenza di quello che siamo. La tradizione del diavolo di Tufara che prende le mosse dal dio dei boschi Pan-Dioniso, ci ricorda la nostra essenza dionisiaca che già Nietzsche ebbe a ribadire nel suo saggio La nascita della tragedia: la ragione (istinto apollineo) ha sempre a che fare con la irrazionalità (istinto dionisiaco) che ci abita.
Recupero delle origini è anche la cifra dell’impegno di Linda, la vulcanica animatrice della Associazione M.U.V.T. con cui abbiamo avuto il piacere di trascorrere una serata a Tufara. Linda ha scelto di trasferirsi da Roma a Tufara, paese dei genitori e da alcuni anni ha messo in moto iniziative tese a recuperare le belle e antiche tradizioni del posto. Pregevoli i murales che adornano il centro storico e la valorizzazione del lavoro a uncinetto, attività abituale che le donne del luogo svolgevano mentre intrattenevano relazioni davanti le loro abitazioni.