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via delle pecore

Sentiero Italia: da Sepino (gps 41.408139, 14.619214) a Bojano (gps 41.485072, 14.471245)

Lunghezza del percorso km 19,1; guadagno/perdita in elevazione 853 / – 1.068 metri; quota massima: 720 metri, quota minima 470 metri.

Centri attraversati: Sepino, Bojano.

Cena: Hotel Mary (0874 778375). Pernotto: Palazzo Corso Umberto (371 485 3701).

13 settembre. Il tratto che percorreremo oggi da Sepino a Bojano è quasi interamente sul tracciato dell’antico tratturo Pescasseroli-Candela. Le vie delle pecore sono probabilmente le strade più antiche. La transumanza si è sempre praticata fin dalla notte dei tempi. I Sanniti, fieri abitanti di questi luoghi, avevano costruito insediamenti e fortificazioni lungo tutta la valle del Tammaro anche per controllare il traffico di uomini e animali su questi luoghi che stiamo percorrendo. I Romani, dopo aver sottomesso i Sanniti, si impadronirono di queste strade che divennero importanti arterie di comunicazione. E proprio su questa strada costruirono Altilia (la Sepino romana) togliendo il primato alla Sepino sannitica costruita in cima a Terravecchia. Sempre, anche dopo il periodo romano, queste strade sono state un via vai di persone e animali fino a trovare un forte impulso dall’epoca aragonese giungendo sino a poco più di mezzo secolo fa quando ancora si praticava la transumanza a piedi.

Il Pescasseroli-Candela era uno dei tratturi più lunghi, più di 200 km: una via erbosa larga un centinaio di metri, costantemente tosata dal brucare degli animali. Nel tratto iniziale che percorriamo da Sepino sarà larga sì e no una trentina di metri, delimitata da costruzioni ai lati. Uscendo fuori dal centro abitato diventa una strada, ancor più stretta, sterrata o erbosa. Ogni tanto ci sono delle aperture che spaziano.

Il passaggio nella Sepino romana da porta Benevento fino a porta Bojano è un tuffo magico nel passato. Di colpo ti trovi a camminare nel silenzio del primo mattino sul decumano di una città romana con le sue emergenze architettoniche ancora ben evidenti.

L’avvicinamento a Bojano ci fa uscire gradualmente da quest’aura di passato che ci ha accompagnato finora nel cammino. Gli insediamenti industriali che vediamo e sentiamo lungo il percorso, il traffico veicolare aumentato con i conseguenti rumori, ci riportano bruscamente in quella realtà che abbiamo sentito lontana nei giorni scorsi. La strada asfaltata con un traffico maleducato che stiamo percorrendo per entrare a Bojano è costellata di rifiuti (in particolare cartoni vuoti di Tavernello) ai lati della strada. Insomma non ci formiamo una buona precognizione della meta della nostra tappa.

Purtroppo la previsione è confermata dall’esperienza: un piccolo centro storico con le antiche case, in condizioni fatiscenti, addossate alla montagna; costruzioni anonime nel resto del paese. Quei tesori del passato che ancora faticosamente cercano di emergere sono imbruttiti dalla insensibilità dei contemporanei o dalla corsa al profitto. Davanti la facciata laterale della chiesa di San Bartolomeo che conserva un bel rosone e portale spicca arrogante un cartello stradale; lungo il bel percorso fluviale che segue il tracciato dell’antica via romana hanno costruito un casermone abitativo anonimo che viola la delicatezza del posto. Mentre camminiamo guardando queste brutture nel primo pomeriggio assolato, incontriamo una coppia di anziani che passeggiano. Li fermo e chiedo come è stato possibile che gli abitanti del posto abbiano avallato una bruttura del genere. L’anziano mi guarda e inizia col raccontarmi le glorie della storia di Bojano dall’epoca Sannita a quella romana, fino ai nostri giorni. Poi, sconsolato, mi parla delle distruzioni durante la guerra e gli obbrobri dei giorni nostri come quella del politico arrivista che riesce a prendere il potere e si concede l’autorizzazione a costruire quel casermone sul lungofiume. L’interesse e il denaro sono più forti della bellezza.

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