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la storia violata

Camminare nella campagna sanseverese è una delicata esperienza di nostalgia della memoria. Ciò che resta del passato ravviva il ricordo di ciò che è stato; infatti nei paesaggi che si attraversano convivono i resti degli interventi umani come strati del tempo intrecciati, che si offrono alla stregua di cristallizzazioni della vita di un passato che non è più. Guardare al passato attraverso le visioni conservate in questi resti come in scrigni preziosi, è un’attività del pensiero che produce quel lieve dolore in grado di far rivivere il tempo ormai trascorso.

Le cristallizzazioni del passato custodiscono durate di vita diverse, rivelando capacità visionarie più o meno lunghe. Si seguono le lunghe durate delle antiche masserie, come la Del Sordo, nata nel ‘700, periodo della rinascita economica di San Severo, passata attraverso gli espropri napoleonici, la riacquisizione delle famiglie della borghesia agraria locale, gli attacchi dei briganti attestati dalle belle torrette angolari di difesa, la grande produzione vinicola – che fece di San Severo uno tra i maggiori centri produttivi in Italia all’inizio del ‘900 – attestata da una cantina che sembra una cattedrale ipogea, fino al declino conosciuto con gli ultimi proprietari e alla decadenza e distruzione attuali.

S’impatta col tempo di quelle masserie più legate all’economia tratturale, come la Padula le cui costruzioni annesse testimoniano la grande vitalità produttiva del tempo in cui le pecore costituivano un elemento fondante l’economia locale; oggi è abbandonata ed affogante tra cumuli di rifiuti di ogni genere.

C’è il tempo più breve delle case coloniche della Riforma Fondiaria che ha dato la speranza di un futuro migliore a centinaia di contadini sanseveresi nell’ultimo dopoguerra e il cui stato di abbandono attuale fa pensare a come il mito della produzione industriale nel Nord del Paese o il miraggio del posto fisso, abbiano contribuito a ridurre queste abitazioni a fantasmi delle nostre terre, case abbandonate, sventrate, ricettacolo di rifiuti.

Ma ci si imbatte anche con il tempo della natura, quello dalla durata più lunga, quello degli olivi, presenza di eternità nella campagna sanseverese, insieme alle viti. Il tempo dei pini, alti e maestosi compagni delle masserie e dei casini, che con la loro ombra hanno dato riposo alle fatiche del lavoro e fresco godimento nei momenti conviviali; ma oggi, seppur con l’antica grazia e gentilezza, sono i muti testimoni della decrepitezza e dell’incuria dei luoghi che allietavano.

La natura è segnata dall’intervento dell’uomo, dalla sua azione “provocatrice” – nel senso heideggeriano del termine – tesa cioè a sviluppare le potenzialità insite in essa. Una tale azione non risulta ingiuriosa per la natura perché essa tende a svelarla e non a dominarla. La sistemazione a mo’ di mosaico dei piccoli oliveti, in località Sant’Andrea, frutto della volontà distributiva del principe Di Sangro, oltre a costituire uno spettacolo armonioso alla vista, rappresenta l’esempio di un intervento non invasivo dell’azione umana.

Purtroppo l’arroganza e la tracotanza dell’uomo nei confronti della natura cresce con l’aumentare della sua presunta superiorità tecnica: la natura da casa ospitante diventa deposito di risorse da sfruttare oltrepassando ogni senso della misura. Diventa l’immondezzaio della nevrotica capacità produttiva dell’uomo alimentata dal suo consumismo imperante. Il Ferrante, il Santa Maria, il Triolo, quei canali che lambivano San Severo e di cui il Fraccacreta celebrava la purezza delle acque, oggi sono discariche a cielo aperto. Ad ogni pie’ sospinto, camminando nella campagna sanseverese, si incrociano rifiuti di ogni tipo. Per non dire del lezzo proveniente dai cumuli di rifiuti bruciati. Questi rifiuti, purtroppo, non solo avvelenano e deturpano, ma sono anche una violenza nei confronti della storia perché soffocano la nostra capacità di far rivivere il passato.

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