Sentiero Italia : da San Potito Sannitico (41.33737, 14.39248) a Faicchio (41.27944, 14.48092)
Lunghezza del percorso km 22; guadagno/perdita in elevazione 1.450 / – 1.500 metri; quota massima: 1.277 metri, quota minima 81 metri.
Pernotto e cena: B&B La carrozza sul Titerno (339 675 03733)
15 settembre. E’ il terzo giorno di attraversamento del Parco regionale del Matese – istituito una ventina di anni fa dalla regione Campania – che ha la sua sede a San Potito. E di qui parto per la mia tappa di oggi. Mi aspetta un primo tratto un po’ tosto, tutto in salita, con quasi 1.000 metri di dislivello in pochi km. La pendenza comincia a farsi sentire subito, dapprima su una strada carrozzabile e poi nel bosco di faggi. Il silenzio surreale e l’oscurità prodotta dalla fitta vegetazione produce un effetto inquietante. Anche se il cammino è in ombra, si suda per la salita. Temo che la scorta di un litro e mezzo di acqua che mi porto dietro non basterà. Non so se troverò lungo il percorso delle fonti.
Il Sentiero Italia che sto percorrendo – in alcuni pezzi non consigliabile all’escursionista medio – è una bellissima realtà, ma per poterne usufruire con serenità è indispensabile che venga costantemente curato, in particolare rinnovandone la segnaletica e liberando il tracciato da rovi e felci. Durante la salita verso monte Angelillo negli snodi problematici (quando il tracciato del sentiero non è più visibile, quando si deve oltrepassare un canale, …) talvolta manca la segnaletica (quel rassicurante segno bianco e rosso che costantemente si dovrebbe incontrare). A quel punto non si può procedere per tentativi. Bisogna fermarsi, osservare il territorio, confrontarlo col tracciato gps sulla mappa e aiutati dalla tecnologia (esistono delle app straordinarie che subito ti danno l’azimut) individuare la giusta direzione. In questa salita, per due-tre volte, il calcolo dell’azimut mi è servito per ritrovare il tracciato del Sentiero Italia.
Il bosco si fa più rado ed arrivo ad un pianoro dove incontro delle mucche che si stanno abbeverando. La salita continua nel bosco e con un ultimo strappo giungo sulla cresta. Lo spazio diventa infinito. Camminare su una cresta è come essere sospesi in cielo. La vista spazia per decine di km verso l’orizzonte. Sotto di me tutta la piana verso il golfo di Napoli e il Vesuvio che purtroppo per la foschia non sono visibili chiaramente. Raggiunta la cima di monte Angelillo mi concedo dieci minuti di sguardo silenzioso da questo tetto.
Scendo dalla vetta e dopo un tratto sempre in cresta, entro in una faggeta, non fitta come quella precedente, con degli esemplari secolari e con dei sentieri in piano molto agevoli, fino a giungere ad un’oasi con un laghetto dove si sta abbeverando un gregge di pecore. Seduto, su un lato, scorgo un pastore solitario. Mi avvicino e scambiamo due chiacchiere. Antonio, dispiaciuto, mi racconta che la montagna ormai è deserta. Nessuno vuol far più il lavoro di pastore. Lui, non perchè ne abbia un profitto ma per l’attaccamento ad una tradizione, continua a venire tutti i giorni quassù per curare il piccolo gregge che gli è rimasto. Gli chiedo se troverò qualche fonte sul mio cammino dato che ho solo un mezzo litro scarso di acqua. Mi risponde che non troverò nulla, e con uno scatto di generosità, apre il suo zaino, prende la sua piccola bottiglia di plastica e versa l’acqua nella mia borraccia. Vorrebbe darmela tutta – si giustifica che lui non beve molto – ma gli dico che è sufficiente quella che mi ha dato. Ci facciamo un selfie e ci salutiamo.
Dopo circa un km inizio il tratto in discesa che dovrebbe condurmi a valle. Cammino in un bosco di lecci con a tratti il sentiero poco visibile; alcuni pezzi sono in forte pendenza con un fondo sconnesso, maledetto dai miei piedi e ginocchia. Finalmente il tracciato si appiana e giungo in prossimità del castello di Gioia Sannitica. Il sole è alto, fa molto caldo ed il tasso di umidità è notevole. L’acqua sta finendo. Passo davanti ad una fonte da cui però non esce acqua. Continuo a camminare nella speranza di trovare qualcosa e nel frattempo mi impongo un razionamento dell’acqua: berrò un sorso ogni km tenendo in bocca l’acqua un minuto prima di deglutirla. Ogni tanto una piccola folata di vento fresco viene ad alleviare la sofferenza del caldo e della sete.
Sono ormai quasi a valle, cammino su strade asfaltate. Ho talmente sete che neanche i fichi degli alberi che incontro mi attirano. Il mio corpo ha bisogno di acqua.
Finalmente arrivo al convento di San Pasquale. Sicuramente troverò una fontana. Così è. Mi ubriaco di acqua. Non so quanta ne avrò bevuta. A pancia piena, la mia mente riprende a funzionare. Rifletto. Penso che abbiamo bisogno di ritrovarci in situazioni estreme per apprezzare le cose più semplici: una bevuta d’acqua, una folata di vento fresco, un incontro inaspettato. Per il nostro consumismo compulsivo sembra che il desiderio di bere possa essere soddisfatto solo dal prosecchino; che al caldo possiamo sopravvivere solo col condizionatore sparato al massimo. La sazietà prodotta dall’eccessivo consumo non cerca l’altro per ascoltarlo ma per subissarlo del proprio ego. Ben venga, allora, la difficoltà di un cammino se ha la capacità di darci una bella “botta” e farci tornare sulla retta via, facendoci apprezzare quelle cose semplici di cui solo abbiamo bisogno.
Dal convento una bella e lunga scalinata mi porta alla meta della tappa di oggi, Faicchio.