Sentiero Italia (variante) da Montesarchio (41.06474, 14.63977) ad Acqua delle Vene (40.98126, 14.69847)
Lunghezza del percorso km 18; guadagno/perdita in elevazione 1.310 / – 460 metri; quota massima: 1251 metri, quota minima 270 metri.
Centri attraversati: San Martino Valle Caudina
Pernotto: Rifugio WWF “Acqua delle Vene” (339 830 5044)
19 settembre. Si sente che oggi è domenica. Poche persone in giro, traffico ridotto. E’ una bella giornata di sole. Attraverso in tutta la sua larghezza, per 6 km, la Valle Caudina senza forzare il passo. Giungo a San Martino da dove entro nel Parco regionale del Partenio. A vederlo in tutta la sua estensione di 30 km con il verde continuo dei boschi, si ha una sensazione di dolcezza, diversamente da quella di durezza delle fiancate rocciose del Parco del Taburno.
All’uscita del borgo, sulla asfaltata che percorro in salita avviene un simpatico incontro con tre cinghialotti intenti a trovare cibo a ridosso della strada. Dopo un po’ trovo l’indicazione del sentiero che dovrò percorrere fino al rifugio Mafariello. Qui incontro alcuni escursionisti che hanno percorso in senso inverso il sentiero; a loro chiedo le condizioni del percorso. Mi dicono che all’inizio è un po’ difficoltoso per degli alberi caduti che ostacolano il cammino ed anche per la vegetazione che non rende agevole il cammino. In effetti nei primi 500 metri devo fare un po’ di contorsioni per procedere, ma poi il cammino – sebbene in salita – diventa agevole e molto bello in alcuni tratti per quella combinazione di pini odorosi e felci eleganti, gioia dell’olfatto e della vista.
Al rifugio Mafariello mi concedo una sosta ed una bella bevuta ad una provvidenziale fonte di acqua fresca. Nella pausa consulto la mappa. Il tracciato del Sentiero Italia procede da destra verso una sella a quasi 1.300 metri e l’ultimo tratto dovrebbe avere, più o meno, 300-400 metri di dislivello in salita da guadagnare in poco spazio. Mi attende quindi una pendenza notevole per giunta su un fondo sdrucciolevole di fango e foglie marce. Troppo per le mie spalle cariche dello zaino. Decido allora di raggiungere la sella da sinistra dove c’è una strada con più tornanti che abbattono la pendenza. Allungherò di 3 km il percorso, ma le mie spalle ringrazieranno.
Dopo 8 km di salita continua, interminabile, raggiunto il punto più alto, mi faccio gli ultimi 2 km per arrivare al rifugio dove passerò la notte. Qui vengo accolto da un vociare fastidioso (ci sono perlomeno una trentina di escursionisti che stanno pranzando all’aperto) e da un profumo di sugo ai funghi che colpisce come un diretto il mio stomaco. Purtroppo il mio pranzo non era previsto e quindi posso solo sentire l’odore delle tagliatelle ai funghi. Per non soffrire molto, deposito lo zaino sulla branda e mi allontano verso una fonte nei pressi del rifugio per lavarmi e lavare alcuni capi di biancheria.
Finalmente alle 18 torna la calma. I rumorosi escursionisti se ne sono andati. Il gestore del rifugio mi affida le chiavi e se ne va anche lui. Sono rimasto solo. Mi preparo un bel piatto di pasta e faccio contento lo stomaco.
Qui il cellulare non prende, non c’è rete. Non c’è la TV. Non ho un libro da leggere. Sono solo, non ho nessuno con cui parlare. Non ho voglia di pensare e tanto meno di scrivere. L’assenza di attività mi fa sentire il tempo fermo. Inesistenza del tempo? Il tempo ci appare quando facciamo qualcosa; l’azione che svolge il nostro fare ci fa avvertire lo scorrere, il flusso del tempo. Un flusso che ha una diversa percezione nei soggetti (infatti è un tempo soggettivo, ben altra cosa dal tempo oggettivo dell’orologio che è uguale per tutti). Qui, invece, senti il tempo che si immobilizza, il tempo che ha il sentore dell’eternità.