27 aprile dialogo online sulla azione politica nonviolenta
“La guerra piace ai politici che non la conoscono. La guerra piace a chi ha interessi economici, che se ne sta ben distante dai teatri di guerra. Chi invece la conosce si fa un’idea molto presto. Non importa se la si chiama guerra contro il terrorismo, guerra per la democrazia, per i diritti umani. Guerra per questo, per quello, per quello. Ogni guerra ha una costante: il 90% delle vittime sono civili, sono persone che non hanno mai imbracciato un fucile. Sono persone che molto spesso non sanno neanche perché gli scoppia una mina sotto i piedi o gli arriva in testa una bomba. Le guerre vengono dichiarate dai ricchi e dai potenti, che poi ci mandano a morire i figli dei poveri. Questa è la realtà”. Sono parole di Gino Strada che come medico in zone di guerre può parlare con cognizione di causa.
Possiamo chiederci perché scoppia una guerra, possiamo ricostruire le cause immediate e remote del conflitto, possiamo analizzare gli interessi in gioco, possiamo scoprire le tecniche di propaganda usate per rendere accettabile le terribili violenze, possiamo fare previsioni sul suo andamento, … ma certamente ciò che maggiormente ci colpisce sono le vittime civili innocenti, è l’offesa fatta alla dignità della persona, è la costrizione del vivere a livelli di bestialità, è la condanna a fuggire lontano dai luoghi cari.
Già dai giorni precedenti il conflitto si ha la sensazione di essere spinti in una direzione dove si riducono sempre più le possibilità di invertire la marcia, sembra di non avere alternative allo schema banale e primitivo dello scontro violento tra forze opposte. Lo scontro armato, le offese alla dignità della persona, la paura della morte violenta diventano sempre più reali. Ma davvero non abbiamo altra strada se non quella della violenza per affrontare quella dell’avversario? In una situazione di conflitto in corso, anche se le possibilità sono molto ridotte, forse piccoli spazi per mettere in campo azioni politiche nonviolente ci potrebbero essere.
Ma una maggiore possibilità d’uso della nonviolenza è nel tempo in cui le guerre si preparano, quando ancora gli individui hanno maggiore agio per prepararsi, organizzarsi, addestrarsi, individuare le strategie. Tutte azioni che toglierebbero terreno all’involuzione violenta del conflitto.
Affronteremo la questione dell’uso della nonviolenza con riferimento all’opera di uno dei più grandi studiosi dell’azione politica nonviolenta, Gene Sharp; parleremo dei fondamenti teorici e di come praticamente una società possa utilizzare questo tipo di azioni per affrontare un conflitto. Seguirà, spero, un interessante dibattito.
“ a) L’azione nonviolenta non ha nulla a che fare con la passività, la sottomissione, la codardia; b) L’azione nonviolenta non è semplicemente una persuasione verbale o puramente psicologica; essa è una sanzione ed un metodo di lotta che comporta l’uso del potere sociale, economico e politico; c) L’azione nonviolenta non si basa sul presupposto che l’uomo è fondamentalmente buono, ma riconosce le potenzialità umane sia al “bene” che al “male”; d) Coloro che praticano l’azione nonviolenta non sono necessariamente pacifisti o santi; l’azione nonviolenta è praticata per lo più da gente qualsiasi che la sceglie perché risulta un metodo di azione efficace; e) Il successo di un’azione nonviolenta non richiede necessariamente basi e principi comuni tra i gruppi in lotta; f) L’azione nonviolenta non si basa sul presupposto che l’avversario si astenga dall’uso della violenza contro i nonviolenti.” (libera riduzione da G.Sharp, Politica dell’azione nonviolenta)
Informazioni utili
A seguito della prenotazione (obbligatoria) il richiedente riceverà una mail con tutti i dettagli tecnici per partecipare. All’atto della prenotazione è necessario comunicare il proprio indirizzo mail con dominio gmail.
Stante il numero limitato di posti disponibili per il collegamento online, siete pregati di prenotarvi solo se effettivamente intendete partecipare.
5 Comments
Caro Mik, care Gianna e Miriam,
avendo disponibilità di tempo, unico privilegio che arride ai vecchi, faccio seguito all’incontro serotino del 27 aprile per fermare in uno scritto alcuni miei pensieri suscitati dalla relazione di Michele sulle tesi di Sharp:
• sono molto preoccupato (fino ad avere paura!) delle deriva bellicista che gli accadimenti in Ucraina vanno diffondendo nella nostra società (registriamo un arretramento culturale di 50 anni, dice Michele);
• e pur non essendo un pacifista sento di quelle teorie il fascino, quasi che possano rappresentare l’unico freno ad un imbarbarimento incalzante, pericoloso nella prassi e negli esiti.
Di Sharp mi ha convinto l’approccio laico (non ho il bene della fede) che mira a leggere la ‘non violenza’ come strategia razionale su cui bisogna formarsi, che va pianificata e che deve essere interpretata ricorrendo a precise strumentazioni operative e di metodo.
Questa premessa per segnalare che, a fronte di una opinione pubblica fortemente coartata dall’informazione corrente, la proposta di un approccio non violento al conflitto stenta a trovare tempi e modi adeguati, funzionali a coinvolgere larghi strati della popolazione e tende a rappresentarsi come mero testimonianza di èlite minoritarie che non incidono in modo significativo sul problema.
La complessità del TEMA GUERRA, e la radicalità che l’accompagna, trova così rappresentazioni schematiche, approcci rozzi, propaganda e semplificazioni e si bypassa il primo e indispensabile step: conoscere con accuratezza la realtà storica dei fatti, le implicazioni socio-politiche e i grandi scenari strategici che condizionano ogni ricerca di soluzione che non sia gradita agli stati egemoni (esemplari Caracciolo, Orsini, Cardini e pochi altri).
La consapevolezza di un così grave contesto non deve tuttavia portare alla passività e alla rinuncia:
• con tutti gli strumenti disponibili (ai social compete una non leggera responsabilità) vanno corrette le disinformazioni più condizionanti per ristabilire la correttezza dei fatti e salvaguardare un approccio ove abbia spazio il dubbio, la ricerca, l’ascolto. Per il pacifismo oggi è dirimente continuare ad essere una comunità democratica che si interroga e interroga la classe politica e rifuggire così al ‘pensiero unico imposto dai potenti’;
• continuare a tessere azioni di protesta e di proposta, cercare il consenso tra la gente, chiamare alla mobilitazione e costituirsi in presenza critica. Non è semplice, ma non ci sono scorciatoie.
“L’Italia ripudia la guerra… come metodo di risoluzione delle controversie internazionali”. Anche stavolta la lungimiranza dei padri costituenti risulta imbarazzante per la quasi totalità della nostra classe politica. Un’azione politica non violenta non dovrebbe fare altro che alzare lo sguardo verso la Costituzione e chiederne il rispetto e da lì ripartire. Forse è banale quanto osservare che il re è nudo. Provo a condividere sul gruppo WhatsApp un articolo che ho trovato interessante, nella sua semplicità. Grazie Michele, grazie Gino e Miriam.
grazie per questa possibilità che ci stiamo dando.. !
non solo di commentare la serata di ieri, facendo sintesi come brillantemente avete fatto (Gianna, Gino, Michele)
Voglio andare oltre..
poter immaginare, ricercare spazi di confronto con le nuove generazioni sul tema della guerra presente.
Costituire un team di ascolto profondo nonviolento che possa aiutare ad elaborare paure, rabbia, a decostruire l’informazione a senso unico che mette al centro la necessità e la legittimità della guerra della difesa violenta e armata.
Non perdiamo questa possibilità di costruire percorsi dal basso agganciando insegnanti che ci diano piccoli spazi nelle classi, preti illuminati che possano “aprire ” parrocchie, associazioni non allineate in grado di “disarmarsi” di fronte ad un franco confronto e ad una sana formazione..
Usiamo questa inquietudine questa paura per costruire un piccolo progetto..
Penso che questo sia possibile
Prendiamo
il sentiero paludoso
per arrivare alle nuvole.
Matsuo Basho
(1644 – 1694)
Arriva il momento
che i nonviolenti vengono incastrati:
“E adesso che fai?
Non è forse giusto inviare armi a queste persone
che si stanno difendendo da una ingiusta aggressione?
O preferisci lasciarli crepare
per essere fedele ai tuoi ideali di nonviolenza?”
Eh sì, lasciamo incancrenire talmente la situazione
che sembrerebbe non esista altra via di scampo
che la legittima violenza.
I nonviolenti hanno le loro colpe
perché forse tendono a dimenticare:
che la pace non è un dono del cielo
ma una faticosa costruzione
che ha tempi lunghi
e non ammette tregue,
soprattutto in quei lunghi periodi
in cui non ci sono guerre;
che la pace non ha solo una dimensione personale o familiare,
ma si elabora in strategie popolari
politiche, sociali, economiche,
a cui bisogna continuamente addestrarsi
nei periodi in cui non c’è la guerra.
L’addestramento alla nonviolenza
allontana il pericolo della guerra,
evita di farci trovare in questo cul de sac
in cui siamo piombati
dove sembra che non abbiamo altra scelta
che la violenza difensiva.
Si può accettare temporaneamente il torto
pur di salvare vite umane?
E’ così disonorevole fare da soli il primo passo
pur di salvare vite umane?
E’ così assurdo accogliere il nemico
pur di salvare vite umane?
Ora l’emergenza è questa:
salvare vite umane.
La giustizia, la libertà
si dovranno costruire dopo
con fatica e in tempi lunghi.