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amor fati

19 febbraio camminata filosofica sulla finitudine

Il pensiero più angosciante è quello della nostra morte. Non riusciamo assolutamente ad accettare di separarci da chi amiamo; ci annienta l’idea che non potremo più godere della bellezza, del gusto del cibo e del sesso, dell’ascolto di una sinfonia, del sentire i profumi della natura. La vita vuole vivere e si ribella al suo contrario, la morte. Sembrano due opposti.

Eppure la Natura ci insegna che tutto ciò che nasce è destinato a perire; anzi, che la sua vicenda si svolge interamente in un eterno alternarsi di morte e vita delle cose: si deve morire per produrre nuova vita. Morte e vita vanno a braccetto per garantire l’eternità delle cose.

L’alternarsi da sempre nella Natura del ciclo morte/vita ci fa pensare alla sua eternità. Probabilmente lo facciamo solo perché questa ciclicità sovrasta la nostra breve vicenda individuale che è assai limitata nel tempo rispetto a quello lungo della Natura. Ma anche la Natura è destinata a finire quando il Sole – garante della vita sulla Terra – diventerà talmente caldo da rendere impossibile ogni forma di vita sul nostro pianeta.

L’uomo spaventato dal pensiero della fine cerca la salvezza nell’immaginare realtà extramondane dove la sua vita continuerà a dispetto della morte che ha colpito il suo corpo, o si affida al delirio di onnipotenza di una tecnica che già parla di resurrezione dal freddo.

L’uomo rifiuta la sua finitudine. Eppure è grazie a lei che è umano; debole giunco – come lo definiva Pascal -, ma pensante. E’ propria la consapevolezza di essere finito a fare la grandezza di questo essere mortale.

Ed allora, se è tale consapevolezza a renderci umani, non dovremmo assumerla al posto di esorcizzarla con la religione e la tecnica? Non è forse proprio a partire dalla consapevolezza della contingenza e finitezza della vita che questa diventa un valore assoluto? Che quel tempo breve dell’unica vita che abbiamo, quegli attimi irripetibili che la compongono, debbano essere vissuti tutti intensamente proprio perché siamo consapevoli della loro finitezza?

Dialogheremo su questi temi durante una camminata nella quiete di Bosco Quarto.

“la natura ricrea una cosa dall’altra / ogni cosa nasce dalla morte di un’altra” (Lucrezio, De rerum natura)

  • Posti disponibili: 30
  • Quando: 19 febbraio 2023
  • Tipologia di pratica filosofica: camminata filosofica
  • Quota di partecipazione: libero contributo
  • Termine per le prenotazioni: entro il 18 febbraio 2023
  • Modalità di prenotazione: con messaggio whatsapp, messenger, mail

Programma

  • ore 8,30 ritrovo al parcheggio antistante all’entrata laterale del cimitero di San Giovanni Rotondo
  • ore 9,00 – 12,45 camminata filosofica in Bosco Quarto

Informazioni utili

Luogo di ritrovo: spiazzo di fronte all’entrata laterale del cimitero di San Giovanni Rotondo sulla strada statale 272 per Monte Sant’Angelo (coord. gps 41.70501, 15.74141)

Caratteristiche del percorso: lunghezza 6 km; dislivello complessivo 250 metri.

Cosa portare: scarpe da trekking (in alternativa scarpe comode con una buona suola grippata), abbigliamento comodo per camminare, zaino, k-way, felpa.

3 Comments

  1. Anonimo ha detto:

    Questo cammino oltre a far bene al corpo ha fatto del bene anche all’anima.
    Il nostro unico obbiettivo di allontanarci dalla morte rende vano ogni momento.
    I dialoghi che abbiamo affrontato hanno dato, oltre che ad uno spunto di riflessione sulla vita in generale, maggiore bellezza all’intera esperienza
    Grazie professore.

  2. Silvana Stoico ha detto:

    Consapevole della mia umana paura,
    conscia della mia finitudine e indissolubilmente legata alla legge del cuore
    mi chiedo quale sia il senso e comprendo che c’è finitudine anche in questo mio tentativo di conoscenza. Se tutto è destinato a finire qual è il senso?
    Il mio mare interiore oggi suggerisce :
    “Ogni finito intenso attimo di questo viaggio speciale che è la VITA.
    Grazie a Michele, mia Filosofa Guida, e grazie quanti oggi hanno condiviso passi e pensieri.
    Silvana Stoico.

  3. Libera ha detto:

    Morte=Amore
    La vecchia metafora del chicco di grano che deve morire per far nascere la spigha è un meccanismo che si potrebbe applicare alla vita intera. Il bruco che deve morire per far posto alla farfalla, le foglie cadenti in autunno danno spazio a nuove forme di vita, il cibo che viene trasformato dal nostro intestino, la fine di una relazione crea i presupposti di una nuova esperienza, la delusione di un desiderio non soddisfatto da la spinta a formularne di nuovi, lo stesso atto sessuale quando termina da’ luogo a una nascita. Mi piace pensare che nel momento in cui c’è una morte e prima che ci sia una nascita vi è un vuoto, un attimo di pausa in cui viene elaborato un atto di amore, un atto di assoluta gratitudine, un dono perfetto in cui il morente cede la saggezza, l esperienza, una vera eredità naturale che arricchirà l esistenza e che vivrà per sempre. Mi piace pensare che attraverso questo passaggio di testimone il mistero della morte sia un po’ meno misterioso e che, se fosse davvero un atto d’amore, posso essere contenta di far parte di quel meraviglioso mondo che esiste prima ma anche dopo la morte.
    Libera

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