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amore e morte

Da contrada Muzzo (39.41043, 16.43730) a Camigliatello (39.34559, 16.46024)

Lunghezza del percorso km 10,3; guadagno/perdita in elevazione +280/ –230 metri; quota massima 1.285 metri, quota minima 1.167 metri.

Pernotto: Maison Camigliati (340 125 9765).

22 ottobre

(A.) Con l’età si è più attenti alla nostra interiorità, si dà più spazio alla riflessione e alla cura della propria anima. Se poi si è visitati dalla malattia, questa disposizione si accentua.

(R.) Vero, si accentua la propensione alla riflessione interiore, e la partecipazione alla malattia del compagno, rafforza questa pratica.

(M.) E’ quello che accaduto anche a me. E con l’esperienza della malattia di chi ami, il pensiero della morte ti diventa più familiare.

(R.) Il pensiero della morte è spaventoso perché è l’annientamento di tutto ciò che coincide con la vita: dal godimento dei sensi nel guardare la bellezza, assaporare il cibo, ascoltare una sinfonia, toccare un corpo, sentire i profumi della natura, all’esercizio del pensiero, alla relazione con chi amiamo.

(M.) Siamo spaventati perché il destino di morte è inesorabile, non si scappa; la vita dell’individuo ha un tempo finito, un tempo che può diventare ancora più corto per un incidente o, appunto, per una malattia.

(A.) Nella malattia, poi, vivi una situazione limite che accresce la consapevolezza della tua mortalità. Ed è lì che scatta la convinzione che questa vita non può finire con la morte. Ti aggrappi alla promessa contenuta nei Vangeli della vita eterna che diventa una consolazione importante.

(R.) E chi non condivide una prospettiva di vita oltremondana?

(M.) Penso che chi non ha questa prospettiva volga lo sguardo da un futuro ipotetico ad un presente certo.  Noi stiamo camminando in questa splendida natura della Sila e qui sembra che la vita continui il suo flusso anche se gli animali, le piante finiscono. Funziona una strana legge: la vita deve distruggere per continuare a vivere; la morte è la condizione perché la vita possa continuare a produrre le sue determinazioni. Ciò che dura è l’eterno ciclo morte/vita: nella natura la morte sembra solo apparenza perché nessuna morte riesce a fermare l’incontenibile movimento della vita.

(A.) Affascinante questo pensiero, ma non è abbastanza per curare il mio desiderio di non morire in eterno.

(M.) Vero, la vita vuole vivere e si rifiuta di morire. E’ come se un’energia spingesse l’individuo a durare; una spinta così potente che, non accettando il limite imposto dalla finitudine, giunge ad immaginare un oltremondo in cui la vita si perpetua: la potenza dell’immaginazione esorcizza, così, l’angoscia prodotta dalla finitudine.

(R.) Sembra che tutto ciò che nasce sia destinato a perire, senza alcuna prospettiva di salvezza. Mi pare che la finitudine accomuni tutti gli esseri viventi. Però l’uomo, a differenza di tutto ciò che esiste, è l’unico ad averne consapevolezza.

(M.) E’ così. La consapevolezza di essere finito pervade i pensieri, le emozioni, i sentimenti, le sensazioni dell’uomo, vale a dire tutto ciò che contribuisce a formare la sua visione del mondo che influenza, poi, il suo agire. Se sono il pensiero e l’azione a costituirci come esseri umani, credo che si possa affermare che è la consapevolezza della finitudine a renderci esseri umani. Ed allora è forse sbagliato sostenere che, per non tradire la nostra umanità, più che esorcizzare la nostra finitudine con l’immaginazione di mondi eterni, dobbiamo assumerla?

(A.) Faccio fatica ad accettare questo ragionamento, però riconosco che è interessante.

(R.) Se effettivamente accettiamo la nostra finitudine, ovvero la consapevolezza della finitezza della vita, quest’ultima diventa, allora, il bene più grande ed assoluto.

(M.) Certo. E questo dovrebbe indurci a vivere intensamente quel tempo breve dell’unica vita che abbiamo, quegli attimi irripetibili che la compongono, proprio perché siamo consapevoli della loro finitezza. Ogni attimo di vita – al di là se è gioioso o doloroso – per la sua unicità dovrebbe essere sentito come il bene più grande che possediamo.

(A.) Insomma, secondo il tuo ragionamento l’eternità viene a coincidere con l’intensità con cui viviamo la nostra vita.

(M.) E’ così. E io penso che una vita intensa sia quella che lascia spazio al sentimento della cura, all’attenzione e sollecitudine per il mondo, per gli esseri animati che lo abitano, per la Natura che lo costituisce; una vita intensa è quella caratterizzata dalla pietà che disattiva l’istinto del predominio e dell’asservimento rafforzando una partecipazione affettuosa al dolore del mondo.

(R.) Io credo che la pratica dell’amore grazie al quale ci si trascende nella reciprocità e non si rimane isolati nella separazione, possa costituire la perfetta sintesi del nostro essere in questo mondo finito.

(precedente – dal Pollino alla Sila 8 – continua)

Si lascia l’Agriturismo e ci si immette subito sulla SP 247 che si percorre in direzione di Camigliatello. In prossimità del centro si devia a sinistra per via delle Giunchiglie che porta all’ingresso di Camigliatello.

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