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pastori poeti

Tratturo Regio Castel di Sangro – Lucera: da Civitanova del Sannio (41.66807, 14.40282) a Castropignano (41.61865, 14.55990)

Lunghezza del percorso km 20; guadagno/perdita in elevazione 785 / – 815 metri; quota massima: 882 metri, quota minima 488 metri.

Centri attraversati: contrada Faito, Duronia, Torella del Sannio

Pernotto: B&B Villa Ada – Castropignano (338 154 1709) Cena: La Fonte Km 0 – Castropignano (0874 50 3542)

17 ottobre. Da Civitanova del Sannio il Tratturo scende verso la valle del Trigno. Sul suo tracciato hanno costruito una strada asfaltata. Giunto al fondovalle, la risalita avviene attraverso un bosco di roverelle fino ad incrociare una strada asfaltata – via Faito – che si continua a seguire alternando il camminamento tra asfalto e sentieri quando non sono troppo invasi dalla vegetazione. Oltrepassata contrada Faito si giunge a Duronia; sulla destra è visibile La Civita, antico arroccamento sannitico con le sue mura megalitiche che si notano anche a distanza.

Il pezzo da Duronia a Torella del Sannio è piacevolissimo. Si cammina, infatti, sempre sulla fascia erbosa che all’inizio mantiene la larghezza del Tratturo e poi diventa un sentiero per la maggior parte in leggera discesa e solo pochi km prima di giungere a Torella del Sannio in salita.

La discesa verso Castropignano è sempre su traccia erbosa. Gli ultimi km prima di giungere al borgo sono su una pista argillosa facile ad infangarsi.

Scendendo da Civitanova verso la valle del Trigno noto, nascosta tra la vegetazione, una piccola lapide che ricorda il luogo in cui cadde e morì nel 1914 un “poeta pastore” di Pescasseroli durante la transumanza, Cesidio Gentile. Suonerebbe strano l’accostamento di poeta e pastore, però, a rifletterci, i pastori si trovano in una condizione privilegiata per poetare: la solitudine che li accompagna e l’abituale contatto con la natura, li predispongono alla nascita di intuizioni che difficilmente si hanno in una vita frenetica e distratta. Tanti pastori saranno stati poeti; ma purtroppo la mancata dimestichezza con lo strumento espressivo scritto non ci ha lasciato molte tracce dei loro pensieri. La loro poesia ha un valore aggiunto perchè deriva dalla pratica di una vita difficile e piena di stenti a cui erano soggetti. Una poesia vera e concreta per la durezza della vita vissuta.

(precedente – tratturo 3 – continua)

Perché barbaro deo mi fei pastore? / Se non fossi nella capanna nato / Certo sarebbe da tutti amato / Mi dispiacque che nacqui così gramo / Sempre, incessantemente il mio lavoro / E so che il lavoro mio non è distinto / E io vivo in un continuo lamento / Il mio padrone non è mai contento / E lo vedo notte e giorno sospirare / Iastema sempre il suo lanuto armento / E dice che ci rifonde del denaro / Col mio stipendio, centosettanta lire, oh che ci pare? / A lui ci pare molto e a me me pare un niente / Eh, che devo stare sotto a pioggia e a vento / E lui si fitta l’erba alla Capitanata / Di Ascoli, di Troia o di Lucera. / Ah, quanto sarà triste l’invernata / Quanto mi sembra a lungo primavera / Si fitta l’erba alla Puglia calata / In vicinanza di qualche riviera / Sant’Agata, Monleone, Faito, Celle, Biccari, Alberona / E quando ci penso mi sento morir / Un’aria così infelice devo far / E vado alla Puglia e abbusco cento lire / E come li miei figli possono campare? / E mi lagno di mio padre / Quando mi inviò per la prima volta / E io vado errando per la selva folta / Di ottobre dopo fatto un bel cammino / Arrivo a stento a quella terra colta / Del ciel della Puglia per niente bello / E il pane dei pastori si fa tassello / E ogni tassello è duecentocinquanta grammi / E questi a me mi devono bastare / La fame che si soffre è molto grande / Ah quante volte invoco quella Santa / Quella che ascolta, di darmi ripar / La invoco che accorciasse primavera / Che nasce il cardo di qualsia maniera; / E il mese di novembre tutte notte / Al palo della rete debbo stare / Ah non mi posso allungare sul mio fagotto / E zozzo e tutto malridotto / Neanche il tempo per potermi lavare / E pensando me dole molto / Che devo lavorare per nove soldo / E il mese di dicembre tutto il giorno appresso all’agnelletto / Ahi quanti passi fino alla sera quando alla pagliara fo ritorno / Ah, stanco ed assetato, afflitto e mesto / E spesso lu massaro me fo scorno dicendomi: / ‘Il tuo branco non è grasso, lo fai troppo camminare, / tu sei pastore e non vuoi pastorare’ / Ah perché mi ritrovo in questa condizione? / Dopo ventiquattro ore di lavoro devo sentirmi dire: / ‘Tu non sei bono’ da uno che non ha fatto mai il pastore! / Eh, queste sono le tristi condizioni che vivo io / Misero pastore..” (da Cesidio Gentile, Il lamento del prezzolato pastore)

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